Aikido e abitudine
Che cos’è l’Aikido? L’Aikido è un’arte marziale e, come tutte le arti marziali, è costituita da un insieme di movimenti, forme e tecniche che necessitano di centinaia e centinaia di ripetizioni, effettuate attraverso un costante ed assiduo allenamento, affinché il nostro corpo le assimili e la mente le sedimenti e le fissi per poterle poi trasmettere al corpo nel momento del bisogno senza una reale necessità di pensarci. Nelle arti marziali si dice: “la ripetitività porta all’istintività”; per trasmettervi le parole che il Maestro Giancarlo disse durante una lezione, citando il grande artista e genio Leonardo da Vinci: “La ripetizione è la madre di tutte le arti”. Numerosi scienziati delle più grandi Università (MIT, USC, Cambridge, Harvard, ecc.) aggiungerebbero anche “… e di tutte le abitudini”.
Cosa vuol dire questo e come accade? Partiamo dalla definizione di abitudine: “tendenza alla continuazione o ripetizione di un determinato comportamento, collegabile a fattori naturali o acquisiti e riconducibile al concetto di consuetudine…” (G.Devoto-G.C.Oli, Nuovo Vocabolario Illustrato della Lingua Italiana), altresì detta “modello comportamentale”. Da recenti studi è emerso che oltre il quaranta per cento delle azioni che compiamo ogni giorno non sono frutto di decisioni bensì abitudini che si formano perché il cervello cerca sempre di risparmiare energia, di ridurre gli sforzi. Ciò è un vero stratagemma che ci permette di vivere tranquillamente senza impazzire. Vediamo come. Se immaginiamo il nostro cervello composto da strati concentrici, quelli più esterni, vicini al cuoio capelluto, sono le acquisizioni più recenti da un punto di vista evoluzionistico e la sede dei pensieri più complessi. Negli strati più interni, dove l’encefalo incontra la colonna vertebrale, vi sono le strutture più antiche e primitive, che controllano i comportamenti automatici (respirazione, deglutizione, reazioni di sorpresa, ecc.). Qui, più o meno al centro del cranio, v’è un piccolo ammasso di tessuto (simile a quello che si trova nell’encefalo di tutti i mammiferi, pesci e rettili) denominato nuclei o gangli della base che svolgono un ruolo determinante nel ricordare e agire in base ai modelli: in pratica immagazzinano abitudini. Attraverso esperimenti sui ratti di laboratorio, è stato dimostrato come avviene questo processo: è stato creato un labirinto che prevedeva il superamento di alcuni ostacoli per giungere al premio finale (che il ratto ignorava): una tavoletta di cioccolato. Facendo fare lo stesso percorso allo stesso ratto diverse volte gli scienziati hanno notato come l’attività cerebrale era attiva durante tutto il percorso la prima volta e, man mano che il ratto imparava la sequenza ostacoli-percorso-premio, l’attività rimaneva alta all’inizio e alla fine, quando incontrava il premio, ma diminuiva sensibilmente durante il percorso: il ratto aveva acquisito l’abitudine a percorrere quel tragitto e superare gli ostacoli ed aveva immagazzinato il tutto nei nuclei della base per cui durante il percorso il cervello smetteva di agire lasciando lavorare i nuclei, per poi riattivarsi in presenza del premio; in poche parole, quando il percorso diventava automatico, il ratto pensava di meno! Proprio questo è lo scopo delle ripetizioni dei vari movimenti nella pratica dell’arte marziale: far diventare quei movimenti automatici per poterli effettuare quando necessario senza pensare, perché pensare, per quanto fondamentale in tantissimi momenti della nostra vita, nell’applicazione dell’arte marziale diventa un ostacolo: rallenta le nostre azioni rendendoci di conseguenza più vulnerabili. Ma smettere di pensare (cioè risparmiare energie mentali come detto prima) può essere pericoloso perché se il cervello si rilassasse nel momento sbagliato potrebbe sfuggirci qualcosa di importante (come un aggressore dietro un angolo) per cui i nuclei della base hanno escogitato un modo ingegnoso per stabilire quando permettere alle abitudini di prendere il sopravvento, modo che può essere suddiviso in tre parti. All’inizio c’è un segnale che dice al cervello di entrare in modalità automatica e quale abitudine usare. Poi c’è la routine, fisica, emotiva o mentale (nell’arte marziale è quasi sempre fisica e dico quasi sempre perché potrebbere essere mentale se si fosse in grado di applicare l’insegnamento di Sun Tzu: “la migliore battaglia è quella che si vince senza combattere”). Infine c’è la gratificazione in base alla quale il nostro cervello decide se vale la pena memorizzare una certa routine. Facciamo un esempio: sul tatami Sensei ordina di eseguire la tecnica katatetori-shionage e il nostro compagno ci afferra il polso come richiesto dal Maestro (segnale), noi la applichiamo come l’abbiamo imparata (routine), alla fine Sensei non ci corregge, o si complimenta, perché l’esecuzione è stata corretta e noi ci troviamo in posizione col compagno immobilizzato a terra (gratificazione). Tutto è stato positivo quindi i nuclei della base stabiliscono che è opportuno imparare questa abitudine e col tempo, continuando ad eseguire katatetori-shionage, arriveremo al punto di applicarla automaticamente quando qualcuno prenderà il nostro polso in posizione katatetori (anche senza l’ordine del Maestro). Se, invece, fin dalle prime volte, alla fine di ogni esecuzione, qualcuno ci avesse dato una bastonata in testa (o Sensei o il nostro compagno) i nuclei della base non ci avrebbero permesso di impararla dal momento che la routine non avrebbe comportato alcuna gratificazione. Meccanismo affascinante e meraviglioso! (ma anche doloroso nel caso della bastonata…). Quindi segnale-routine-gratificazione-segnale-routine-gratificazione o circolo dell’abitudine ci dice sostanzialmente che quando si forma un’abitudine il cervello non partecipa più al processo decisionale, smette di lavorare o si rivolge ad altri compiti (difesa contro più avversari, ad esempio). Quindi nella pratica dell’arte marziale noi siamo sottoposti all’apprendimento continuo di nuove abitudini (tutte positive) che ci creano soddisfazione e appagamento perché sono il risultato di sforzi e sacrifici. Queste abitudini potrebbero essere definite come “abitudini chiave” e sono più importanti di altre nel riconfigurare la vita personale e professionale perchè esercitano la loro influenza sul modo in cui gli individui lavorano, mangiano, giocano, vivono, spendono e comunicano; coltivando abitudini chiave, infatti, è possibile provocare cambiamenti pervasivi. Generalmente, nella vita di tutti i giorni, è difficile identificare correttamente le abitudini chiave perché queste coincidono con i “piccoli traguardi”, diverso è sul tatami dove ogni sessione di allenamento ci porta sempre al superamento di un piccolo traguardo (il miglioramento di una tecnica o anche solo di un movimento del tai-sabaki, la comprensione di un termine o di come ci muoviamo in rapporto al compagno o a noi stessi). E la cosa che ancor più ci interessa è che le abitudini chiave contribuiscono al rafforzamento di altre abitudini con la creazione di nuove strutture: il cambiamento, cioè, diventa contagioso e così, senza accorgercene, mentre pratichiamo l’arte marziale, miglioriamo nella vita di tutti i giorni, introducendo tante piccole “tecniche” che contribuiscono all’accrescimento interiore della nostra persona. Diverse ricerche hanno dimostrato il potere straordinario dei piccoli traguardi e come, raggiunto un piccolo traguardo, si mettano in moto forze che favoriscono un altro piccolo traguardo. E’ semplice: i piccoli traguardi alimentano cambiamenti trasformativi moltiplicando vantaggi insignificanti in modelli che convincono le persone della possibilità di raggiungere facilmente risultati ancora più grandi (iniziamo da mu-kiu e attraverso tantissimi piccoli traguardi giungiamo alla cintura nera, primo vero traguardo perché rappresenta il punto di partenza della pratica dell’arte marziale, e, pur rendendoci conto dei sacrifici compiuti per ottenerla, siamo altresì consapevoli che non sarà certo impossibile proseguire verso altri traguardi).
Studi recenti hanno inoltre dimostrato come le abitudini agiscano positivamente sulla forza di volontà: “Quando impariamo a costringerci ad andare in palestra o a fare i compiti o a mangiare insalata invece di hamburger, stiamo modificando il nostro modo di pensare. Le persone imparano a regolare meglio i propri impulsi. Imparano come distrarsi dalle tentazioni. E quando ci si abitua a utilizzare la forza di volontà il cervello è già allenato e si concentra su un unico scopo.” Oggi in molte università importanti tantissimi ricercatori studiano la forza di volontà. “E’ questo il motivo per cui è così importante iscrivere i ragazzi a una scuola di musica o a una attività sportiva (…) Quando impariamo a costringerci a eseguire un esercizio per un’ora o a correre per quindici giri, stiamo costruendo una forza che favorisce l’autoregolamentazione. Un bambino di cinque anni che è in grado di inseguire la palla per dieci minuti, alla scuola media sarà capace di cominciare in orario i suoi compiti” (Todd Heatherton, ricercatore che si è occupato della forza di volontà; per una selezione del suo lavoro si veda http://www.dartmouth.edu/~heath/#Pubs).
Quindi praticare Aikido è utile all’aumento della forza di volontà, applicabile poi nella vita quotidiana (studio, lavoro, ecc.). Ovviamente ciò vale per tutte le arti marziali ma l’Aikido si distingue dalla maggior parte di esse per l’assenza di agonismo, non ci sono gare e di conseguenza manca lo scontro diretto con un altro avversario; la persona con cui si pratica è infatti un compagno col quale allenarsi per crescere e migliorarsi. Del resto uno dei principi del Tao ci insegna che nel combattimento non esiste avversario perché l’unico avversario che abbiamo siamo noi stessi. L’arte marziale diventa quindi un modo per avviare un percorso di conoscenza introspettivo e portarci verso l’obiettivo che dovrebbe essere l’unico scopo: capirsi, comprendersi, conoscersi per poter crescere e migliorarsi, arrivando a sperimentare un altro insegnamento: “conosci te stesso e non avrai più avversari”, perché solo conoscendo noi stessi possiamo conoscere gli altri e comprendere di appartenere ad un progetto comune giungendo così alla soluzione che uno scontro sarebbe inutile e negativo per tutti. Sun Tzu nella sua famosa, e sempre attuale, opera “L’Arte della Guerra” insegnava: “la migliore battaglia è quella che si vince senza combattere” (repetita iuvant!).
Ma questo non è tutto. E’ importante ricordare, infatti, che, se desideriamo cambiare alcuni aspetti del nostro carattere che, dopo un’attenta osservazione di noi stessi e degli altri, abbiamo deciso essere negativi (timidezza, insicurezza, permalosità, supponenza, ecc.) è sì importante la forza di volontà, perché il cammino deve sempre iniziare da noi stessi, ma è altresì molto importante entrare a far parte di un gruppo sociale che, secondo noi, possa renderci più facile il cambiamento, perché quando si entra a far parte di gruppi dove il cambiamento sembra possibile, le probabilità che tale cambiamento si verifichi diventano piu concrete. I meccanismi precisi che ci inducono a credere in qualcosa non sono ancora stati pienamente compresi tuttavia gli studiosi sono concordi sul fatto che credere è più facile se si fa parte di una comunità (una cintura nera, allievo del Maestro Giancarlo, interrogato, ancora mu-kiu, sul perché si era iscritto al corso di Aikido rispose che lo aveva fatto perché pensava che la pratica dell’Aikido lo avrebbe aiutato a conoscere se stesso; ci credeva fin dall’inizio e se oggi chiedete al Maestro se anni di allenamento sono serviti a quel mu-kiu per conoscersi, sicuramente otterreste risposte molto interessanti). In poche parole, si possono considerare i “difetti” del nostro carattere come “cattive abitudini” (essere timidi, ad esempio, non è una condizione “permanente” nella quale e della quale dobbiamo rassegnarci, bensì un’abitudine che, per qualsiasi motivo, ci portiamo dietro dalla tenera età e che possiamo affrontare e combattere se decidiamo di farlo!), cattive abitudini che possiamo cercare di eliminare entrando in un gruppo ed interagendo coi compagni, pensandoli uguali a noi; credendoci, pian piano, vedremo noi stessi, riflessi negli altri, modificare lentamente ma inesorabilmente senza aver fatto alcuno sforzo in quella direzione! Semplicemente, lavorando insieme con un interesse comune la nostra attenzione si sposta gradualmente dalla nostra timidezza (l’esempio di questo caso) al tipo di lavoro che ci accomuna agli altri (apprendere l’Aikido) relegando la nostra “cattiva abitudine” ad un ruolo marginale (magari non scompare ma certamente si rimodella a livelli più accettabili).
Riassumendo: praticare Aikido ci conduce all’apprendimento di tante piccole abitudini, fondamentali per la pratica dell’arte marziale, cioè per reagire senza pensare; queste piccole abitudini rientrano nella descrizione delle “abitudini chiave”, perno per la costruzione di tante abitudini positive volte al miglioramento della nostra persona sia dal punto di vista caratteriale che, conseguentemente, umano e professionale perché collegate all’aumento della forza di volontà, trampolino assoluto che ci aiuta nel superamento di tanti e diversi ostacoli. Il tutto all’interno di un gruppo dove la guida di un Maestro attravverso la propria esperienza e l’utilizzo di rigore e disciplina permette all’allievo, aiutando altri ed essendo da loro aiutato, di crescere affrontando le proprie ombre non con la pratica di uno sterile agonismo donatore di falsa sicurezza bensì con la luce di un costante e severo allenamento vocato alla ricerca di quella energia (Ki) e di quell’armonia (Ai) che lo condurranno alla comprensione di se stesso e dell’arte marziale. Il percorso sarà sicuramente lungo e faticoso ma del resto “solo il discepolo che ha sofferto potrà diventare un saggio maestro”, come dicevano gli stoici.
Per concludere, quindi, buon allenamento!
Alberto Vaccari
Nota bibliografica: questo articolo è frutto della lettura di un libro che consiglio vivamente a tutti (Charles Duhigg “La dittatura delle abitudini” – ed. Corbaccio, 2012) e della mia esperienza che, in rapporto, rimane ben poca cosa.